martedì 18 settembre 2012

Marchionne

Ho letto con interesse l'intervista di Marchionne a Repubblica. Copio spudoratamente (in blu) parti dell'intervista, ma consiglio la lettura integrale. Ritengo l'intervista perfetta, chiara e (quasi) onesta.


La sua verità, allora?
"Semplice. La Fiat sta accumulando perdite per 700 milioni in Europa, e sta reggendo a questa perdita con i successi all'estero, Stati Uniti e Paesi emergenti. Queste sono le uniche due cose che contano. Se vogliamo confrontarci dobbiamo partire da qui: non si scappa". 
La paura è che stia scappando lei, dottor Marchionne. Bassi investimenti in Italia, zero prodotti nuovi. Non è così che muore un'azienda che ha più di cent'anni di vita?
"Mi risponda lei: se la sentirebbe di investire in un mercato tramortito dalla crisi, se avesse la certezza non soltanto di non guadagnare un euro ma addirittura  -  badi bene  -  di non recuperare i soldi investiti? Con nuovi modelli lanciati oggi spareremmo nell'acqua: un bel risultato. E questa sarebbe una strategia manageriale responsabile nei confronti dell'azienda, dei lavoratori, degli azionisti e del Paese? Non scherziamo".
Ma lei ha appena detto che Fabbrica Italia è superata. Questo significa che l'impegno di investire in quel progetto 20 miliardi non viene mantenuto. Non si sente in colpa?
"Quell'impegno era basato su cento cose, e la metà non ci sono più, per effetto della crisi. Lo capirebbe chiunque. Io allora puntavo su un mercato che reggeva, ed è crollato, su una riforma del mercato del lavoro, e ho più di 70 cause aperte dalla Fiom. Soprattutto, da allora ad oggi il mercato europeo ha perso due milioni di macchine. C'erano e non ci sono più. Tutto è cambiato, insomma. E io non sono capace di far finta di niente, magari per un quieto vivere che non mi interessa. Anche perché puoi nasconderli, ma i nodi prima o poi vengono al pettine. Ecco, siamo in quel momento. Io indico i nodi: parliamone".
E come vede l'anno prossimo?
"Male, molto male. D'altra parte la gente non ha più potere d'acquisto, magari ha perso il lavoro, i risparmi se ne sono andati, non ha prospettive per il futuro. Ci rendiamo conto? L'auto nuova è proprio l'ultima cosa, non ci pensano nemmeno, si tengono la vecchia ben stretta. È un meccanismo che si può capire ".
E l'Italia? Lei non può ignorarla.
"Ma lei non può pensare alla Fiat come a un'azienda soltanto italiana. Sarebbe in ritardo di dieci anni. La Fiat non è più un'azienda solo italiana, opera nel mondo, con le regole del mondo. Per essere chiari: se io sviluppo un'auto in America e poi la vendo in Europa guadagnandoci, per me è uguale, e deve essere uguale".
Se non fosse per quel problema della responsabilità nazionale, nei confronti del Paese e di chi lavora, non crede?
"E qui lei dovrebbe già aver capito la mia strategia. Gliela dico in una formula: cerco di assecondare la ripresa del mercato Usa sfruttandola al massimo per acquisire quella sicurezza finanziaria che mi consenta di proteggere la presenza Fiat in Italia e in Europa in questo momento drammatico. Fare diversamente, sarebbe una follia".
Come spiega agli americani il successo a Detroit e il disastro a Torino?
"Quando spiego, loro fanno due conti e mi dicono cosa farebbero: chiusura di due stabilimenti per togliere sovracapacità dal sistema europeo".
E lei?

"I conti li so fare anch'io. Se mi comporto diversamente, ci sarà una ragione".
Cosa vuol dire?

"Che non parlo di eccedenze, non parlo di chiusure, dico solo che non c'è mercato per fare attività commerciale garantendo continuità finanziaria all'azienda".
E quando vede un cambio di mercato?
"Fino al 2014 non vedo niente. Per questo investire nel 2012 sarebbe micidiale. Salvo che qualcuno mi dica che per noi le regole non valgono. Ma deve mettermelo per scritto. Perché quando siamo entrati in Europa, non sono solo saltate le frontiere, è saltata anche l'abitudine di fare un po' di svalutazione nei momenti di crisi. Ora questo lusso non c'è più, e finché Monti e Draghi hanno le mani sul timone, per fortuna dall'euro non usciremo. E allora, dobbiamo rispettare le regole".
Lei dunque s'impegna?
"Mi impegno, ma non posso farlo da solo. Ci vuole un impegno dell'Italia. Io la mia parte la faccio, non sono parole. Quest'anno la Fiat guadagnerà più di 3 miliardi e mezzo a livello operativo, tutti da fuori Italia, netti di quasi 700 milioni che perderà nel nostro Paese. È la prova di quel che le ho detto".
Col sindacato sì, sembra aver dichiarato una guerra ideologica alla Fiom, da anni Sessanta.
"Storie. Io voglio una riforma del lavoro, che ci porti al passo degli altri Paesi. Se la Fiat vuole essere partner di Chrysler, deve essere affidabile. Lo so che la Fiat di Valletta aveva asili e colonie, ma si muoveva in un mondo protetto dalla competizione, dazi e confini, che sono tutti saltati. Noi siamo in ballo, il gran ballo della globalizzazione: non è detto che mi piaccia ma come dicono in America il dentifricio è fuori, e rimetterlo nel tubetto non si può più".
Ma lei si rende conto che il lavoro oggi è il primo problema del-l'Italia?
"Sì, da qui la mia responsabilità nei confronti del Paese, che va di pari passo con quella nei confronti dei miei azionisti. Ma "repubblica fondata sul lavoro" vuol dire anche essere competitivi, creare occupazione attraverso sfide e competizioni. Questa cultura da noi manca".

In sintesi cosa dice? "Guadagno in USA e mercati emergenti, l'Europa è un bagno di sangue, ma nonostante le perdite non chiudo (per ora) altri stabilimenti. Col cazzo che investo 20 miliardi in Italia come ho detto tempo fa (vedere sotto Phastidio). Il mercato del lavoro in Italia deve cambiare per essere almeno comparabile al resto del mondo o almeno all'Europa. Responsabilità verso il Paese? Col piffero, io rispondo agli azionisti. Se ascoltassi gli inviti ad investire in Italia e proporre nuovi modelli, FIAT fallisce o prima mi licenziano. Inculatevi"


L'ottimo Mario sotto nome di Phastidio recentemente ha commentato con la consueta lucidità sul progetto Fabbrica Italia -  copio integralmente (in un bel rosso corsivo) il post così non dovete neanche cliccare sul link, pigroni:

Si, lo sappiamo, i piani industriali sono per definizione caratterizzati da elevata incertezza di esecuzione, motivo per cui analizzare oggi un piano industriale annunciato per la prima volta tre anni fa ha poco senso, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti in atto in Europa. Eppure.
Eppure, potremmo incasellare questo esito in una sequenza interpretativa ad alto tasso di verosimiglianza. Ad esempio:
  1. Sergio Marchionne è consapevole da sempre, e mai ne ha fatto mistero, che in Europa esiste una pesantissima sovracapacità produttiva nel settore auto e che di conseguenza, a meno di un boom (assai poco probabile anche prima dell’inizio della crisi), si sarebbe giunti al redde rationem;
  2. Consapevole di questa enorme Spada di Damocle ma essendo persona assai ambiziosa e “visionaria”, Marchionne si è inventato Fabbrica Italia come espediente retorico-ideologico o, se volete, come strategia di comunicazione politica, e non necessariamente industriale. Nel senso che si annuncia l”‘evento epocale” ma non se ne comunicano i dettagli operativi, neppure quelli di larga massima, per avere un enorme ballon d’essai col quale disarticolare il sistema della rappresentanza. Non solo quella nei luoghi di lavoro, ma anche quella interna al sempre più traballante e sclerotizzato sindacato degli imprenditori;
  3. Si coagula attorno a questo progetto “ideologico” una parte di opinione pubblica, quella più insofferente alla mitologia del pansindacalismo (che non esiste più, ma spesso questo settore di opinione pubblica non lo sa, avendo scarsa conoscenza effettiva dello stato delle relazioni industriali) ed intimamente convinta che la modernizzazione produttiva debba passare necessariamente per la sconfitta ideologica del “nemico”, e nel frattempo si scuote dalle fondamenta Confindustria, spesso così incendiaria nei convegni e così conservatrice negli accordi contrattuali. Marchionne, in questo modo, cerca di passare alla storia come una sorta di Thatcher italiano, l’uomo che ha cambiato il volto delle relazioni industriali, ma in cuor suo sa perfettamente quale sarà l’esito ultimo: il disimpegno dall’Italia;
  4. Nel frattempo, si utilizza al massimo grado il leverage che deriva dall’aver acquisito il terzo marchio automobilistico statunitense al punto di minimo (un default con ristrutturazione e ponti d’oro da parte dell’Amministrazione di Washington e dal sindacato), per puntare decisamente a crearsi una exit strategy da un paese morente;
  5. Al verificarsi del worst case scenario (crisi profonda di settore e avvio ineluttabile del processo di downsizing) si allargano le braccia e si dichiara che “Fabbrica Italia” è morta senza mai aver visto la luce.
Sia chiaro: Fiat ha tutte le ragioni industriali per procedere ad un ridimensionamento, ieri (Termini Imerese) come oggi e domani. Allo stesso modo in cui è difficile non osservare che, Chrysler a parte, la società non appare così strategicamente tonica come invece viene presentata da una certa pubblicistica acritica, che ha scambiato Marchionne per l’uomo che, pur costruendo auto, farà arrivare i treni in orario. Alfa Romeo resta un’incompiuta, per la quale (a intervalli regolari) si vaticinano epocali conquiste dei mercati di oltreoceano e dell’Estremo Oriente; la penetrazione in Cina resta nulla, in Russia la situazione appare molto simile e la quota di mercato europea è in continuo ripiegamento nella perdurante assenza di nuovi modelli, circostanza che differenzia senza se e senza ma il costruttore italiano dai propri concorrenti. Difficile incolpare anche di questo le riottose (o presunte tali) maestranze.
Che fare, quindi? Poco e nulla, al momento. Sul più lungo periodo il governo e la politica potrebbero lavorare alla creazione di condizioni favorevoli per consentire lo stabilimento in Italia anche di altri costruttori ma sarà terribilmente difficile, visto che l’habitat economico, legale ed istituzionale del paese paiono ostili a simili insediamenti. A meno di attendere l’inevitabile impoverimento del paese, che porterà con sé anche un aumento di appetibilità all’insediamento industriale, causa fame (non necessariamente in senso metaforico). Ma solo se nel frattempo saremo riusciti a sfuggire al caos e ad una disperata anarchia. 

Chiarissimo, no? E coerente con l'intervista (quasi) onesta di Marchionne. 




Per aggiungere un po' di ulteriore colore copio il commento sul tema FIAT del terribile Paolo Ferrero che ha scritto questa allucinazione (in un bel colore marrone-merda):
 
FIAT - 30 ANNI FA ROMITI MI HA MESSO IN CIG MA ORA HA RAGIONE LUI. MARCHIONNE CHIUDE, OCCORRE NAZIONALIZZARE
Trenta anni fa ero un giovane operaio della Fiat e Cesare Romiti mi buttò in Cassa integrazione a zero ore insieme a decine di migliaia di altri operai. Oggi, a distanza di 30 anni, Romiti critica Marchionne per il disimpegno Fiat in Italia. Condivido le parole di Romiti e - vista la font
e – segnalano che il manager in maglioncino si è spinto molto avanti nella distruzione della Fiat. Per questo Rifondazione Comunista ritiene necessario l’intervento pubblico e la nazionalizzazione nel caso in cui la Fiat dovesse arrivare alla chiusura di un altro stabilimento. Non si può assistere alla distruzione della Fiat pezzo dopo pezzo.


Ora, il comunismo è bello, il socialismo stupendo, ma caro Paolo, sei un po' fuori tempo e fuori luogo. Immaginiamo che Monti improvvisamente venga convinto da Bertinotti a nazionalizzare la FIAT. Il buon Monti a cui il famigerato mercato piace cosa farebbe? Beh, lancerebbe un'OPA sulla FIAT che capitalizza 6 miliardi di euro e qualche spicciolo. Di norma si offre un premio sul valore di mercato, mettiamo un equo 30% e siamo sui 8 miliardi. Mhhh. Bello. Dove trova i soldi? Beh, dato che sarebbe lo Stato a comprarla ha due possibilità: tasse o debito. Ottimo. Poi? Beh, si silura Marchionne che ha di fatto salvato la FIAT dopo una serie di CEO che si sono succeduti uno ogni anno - tipo i governi italiani fino agli anni 90 - e ha salvato la Chrysler che era fallita (seriamente, era in Chapter 11) e si nomina qualche bravo burocrate col compito ti mantenere posti di lavoro in Italia. Risultato? Immagino qualcosa come l'Alitalia prima di essere data in pasto agli "imprenditori corraggiosi" selezionati da Silvio trasferendo i debiti allo Stato.
Altra ipotesi è che semplicemente si nazionalizzi l'azienda. Si dice "è mia!". Bellissimo. Poi gli investimenti stranieri in quanti secondi escono dalle aziende e dai bond italiani? Qualche minuto? 

Bravo Ferrero, mi fai sempre ridere. In realtà mi fa incazzare come un ape, perché invece di sparare cazzate irrealizzabili potrebbe dire qualcosa di intelligente, di sinistra, ma intelligente. Invece no, o per imbecillità o per malafede spara questi annunci per procurarsi un po' di "like" su Facebook. 

Sto diventando sempre più anarcoindividualista della corrente Nutella.







PS: Phastidio ne ha parlato alla radio il 17 settembre. Ascoltatevelo che io non ho tempo.

PS_2: anche Travaglio ne scrisse oggi:


C’è un che di irresistibile nel dialogo (si fa per dire) a distanza fra il duro Sergio Marchionne e gli omuncoli gelatinosi del governo, dei partiti e dei sindacati moderati (Cisl e Uil). Lui, il duro che non deve chiedere mai perché viene ubbidito prim’ancora che dia gli ordini, annuncia che dei 20 miliardi di investimenti promessi, col contorno di 1 milione e 400 mila auto e altre supercazzole che potevano essere credute solo in Italia, non se ne fa più nulla. Perché? Perché no. E gli impavidi ministri, sindacalisti e politici che fanno? Gli chiedono di “chiarire”. I più temerari aggiungono “subito”, ma sottovoce, vedimai che s’incazzi e li prenda a sberle. Ora, tutto si può rimproverare a questo finanziere scambiato per un genio dell’automobile, tranne la carenza di chiarezza: è dal 2004 che dice ai quattro venti che dell’Italia non ne vuole sapere, molto meglio i paesi dell’Est, dove la gente lavora per un tozzo di pane e non chiede diritti sindacali perché non sa cosa siano, e gli Usa dove Obama paga e Fiat-Chrysler incassa.
Ma quelli niente, fingono di non capire, chiedono chiarimenti, approfondimenti, spiegazioni, aprono tavoli, propongono patti, invocano negoziati, lanciano penultimatum, attendono il messia dei “nuovi modelli” naturalmente mai pervenuti. Ma in quale lingua glielo deve spiegare, Marchionne, che dell’Italia e dell’auto con bandierina tricolore non gliene frega niente? In sanscrito? Sentite Passera: “Voglio capire meglio le implicazioni delle sue dichiarazioni”. Un disegno di Altan potrebbe bastare. Sentite la Fornero, quella col codice a barre in fronte: “Non ho il potere di convocare l’amministratore delegato di una grande azienda” (solo quello di entrare con la scorta armata ai gran premi di F1), però vorrebbe “approfondire con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per l’occupazione”. Ma benedetta donna: niente ha in mente, te l’ha già detto in musica, che altro deve fare per cacciartelo in testa? Infilare l’ombrello nel coso di Cipputi? Sentite Fassino: “L’ho sentito, mi ha dato rassicurazioni”. Ci parla lui. Sentite Bonanni, quello con la faccia da Bonanni che firmò tremante gli accordi-capestro a Pomigliano e Mirafiori: “Marchionne ci convochi subito e chiarisca se il Piano Fabbrica Italia lo mantiene e lo utilizza quando riprende il mercato o no”. Ma certo: i 20 miliardi li tiene lì sotto il materasso in attesa che la gente si compri tre Cinquecento e quattro Duna a testa, poi oplà, li sgancia sull’unghia per la bella faccia di Bonanni.
Ma che deve fare quel sant’uomo per far capire che i 20 miliardi non esistono e ha preso tutti per i fondelli? Fargli una pernacchia sarebbe un’idea, ma poi quelli replicherebbero: “Vorremmo capire meglio il significato profondo del gesto, Marchionne apra al più presto un tavolo per fornirci le necessarie e ineludibili delucidazioni atte a chiarire il senso recondito, anche tra le righe, della pernacchia”. Se non ci fossero di mezzo decine di migliaia di famiglie, ci sarebbe da scompisciarsi per queste scenette da commediola anni 80, dove il marito trova la moglie a letto con un altro e la interroga tutto compunto: “Cara, esigo un chiarimento sulla scena cui ho testè assistito”. O da film di Fantozzi. La sua Bianchina, con a bordo la signorina Silvani, viene affiancata dall’auto di tre energumeni che afferrano un orecchio del ragioniere. La Silvani li insulta. Quelli estraggono dall’auto Fantozzi a forza e lo massacrano di botte, mentre lui li apostrofa con fierezza: “Badi come parla!”. Pugno in faccia. “Vorrei un momento parlamentare con voi”. Setto nasale. “Lo ridichi, se ha il coraggio”. Spiaccicato sul tettuccio. “Badi che se osa ancora alzare la voce con me…”. Giacca squarciata. “Bene, mi sembra che abbiamo chiarito tutto, allora io andrei…”. Lo finiscono a calci e lo lanciano come ariete nel parabrezza. Ora Fantozzi fa il ministro tecnico e il sindacalista moderato. Tanto le botte le prendono i lavoratori.
Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2012

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