Ricevo da TS via Lisbona:
I nordcoreani almeno erano puntuali. L’ultima volta con i cubani avevo
> dovuto attendere 2 ore. Solo perchè scendessero dalle loro stanze
> all’albergo Ljubljanska. Ma con i nordcoreani era diverso. Puntualissimi
> si presentarono nella hall completamente spoglia dove campeggiava la
> gigantografia del conducator. Sì, lui, la guida di tutti i triestini. Il
> compagno Cosolini.
> Per fortuna avevo trovato quel lavoro: da quando Cosolini aveva preso il
> potere tutto era cambiato. Avevo perso il mio posto nel consiglio di
> amministrazione delle Generali, statalizzate e divenute
> Generalsecuritate, l’apparato di sicurezza del regime.
> I nordcoreani si misero ordinatamente in fila ed iniziai il tour,
> sventolando la bandierina rossa con la falce e alabarda.
> Prima tappa: Piazza Doberdan. Mostrai loro con orgoglio fasullo il
> gigantesco murales che raffigurava Cosolini mentre stringeva la mano a
> Fidel, e che nascondeva ancora per poco – visto che se ne preparava la
> demolizione e la sostituzione con il palazzo dei soviet – il Museo del
> risorgimento. Mentre percorrevamo la strada i nordcoreani fotografavano
> stupiti e ammirati qua e là, non consci delle cose terribili che
> avvenivano in città da due anni. Ricordavo ancora quando Bandelli era
> stato costretto ad abiurare e a modificare il cognome in Bandelj. Ora
> quel venduto era soprintendente alle scuole slovene.
> Camminando ancora arrivammo ai portici, da dove iniziava la via
> intitolata a Cesare Battisti, non più patriota e martire, ma latitante
> in Brasile. Più avanti Piazza Goldoni, ormai divenuta “Piazza dell’amore
> libero”. Dagli altoparlanti inni rivoluzionari si intervallavano a
> canzoni popolari, ormai tutte con il testo modificato. In quel momento
> trasmettevano “Viva la Yu e po bon”… Che schifo. Procedemmo per il
> Corso: i nordcoreani si fermarono entusiasti e frementi davanti al
> maxiposter di Cosolini con Kim Jong Il, che copriva la facciata della
> Lega Nazionale. Poche Zastava percorrevano il Corso in entrambe le
> direzioni: da quando Omero era diventato assessore al traffico c’erano
> doppi sensi dappertutto.
> Arrivammo finalmente alla grande Piazza dell’Unità e del Delo. Enormi
> ritratti coprivano i suoi antichi palazzi: Cosolini, Marx, Engels, Tito,
> Basaglia. La piazza però era ormai spoglia: Solo alcuni granicari
> giravano un prasec sullo spiedo e armeggiavano con cipolla e ajvar.
> Alcuni musicisti ambulanti, sicuramente zingari, suonavano fisarmoniche
> e trombe, mentre tre o quattro drusi e drugarizze ballavano sconciamente
> un kolo… Per fortuna il giro volgeva al termine. Mostrai loro la
> corazzata Potemkin che il conducator Cosolini aveva acquistato da Putin
> e che insieme all’incrociatore Aurora erano ormeggiati a fianco della
> stazione marittima, trasformata in Museo della rivoluzione.
> Ultima tappa fu al ristorante “All’elefante rosso” dove lasciai la
> comitiva nordcoreana ad assaggiare tipici cibi triestini: jota,
> cevapcici, pleskavica, pasulj, palacinke, gibanica e per finire
> brinjevec e slivoviz. Pizza e pasta erano state messe al bando: ormai si
> trovavano solo di contrabbando e se si veniva beccati a mangiarne un po’
> si rischiavano anni di campo di rieducazione a Piscanci.
> Andandomene guardai con nostalgia Monte Grisa, fatta esplodere con la
> dinamite, al cui posto da due anni sorgeva ormai un’enorme stella rossa.
> Pensai di passare alla libreria Rosso su bianco di via Vittorio Vidali,
> per trascorrere la serata leggendo, ma poi lasciai perdere: al massimo
> potevo trovare il Capitale, il libretto rosso di Mao o qualche libro
> propagandistico dello storico di regime Purini.
> Risalii Viale Undici Settembre. Senegalesi, serbi, cinesi e arabi
> dovunque. Parlavano tutti in sloveno. Sui manifesti le poche cose che si
> potevano vedere: quei servi del Pupkin Kabarett al Politeama Rosso, la
> partita di Champions League dello Zarja contro il Liverpool (la
> Triestina era stata sciolta subito dopo le elezioni), Brecht, Kosovel,
> Pahor e Preseren al Teatro Zelen, una conferenza del filosofo
> collaborazionista Claudio Magris al Circolo Che Guevara.
> Il cinema Internazionale proiettava film di Pasolini ed Eizenstejn, di
> fronte c’era il ritrovo dell’ala dura del regime, il Nàima, dove si
> ritrovava il circolo dei polpotiani.
> Andai ancora avanti. Di fronte al Giardino Pubblico, l’unico luogo che
> avesse mantenuto il suo nome, assistetti ad una delle scene più
> frequenti in città da quando era arrivato Cosolini: un vigile vestito di
> rosso aveva appena dato la multa ad una macchina per divieto di sosta.
> Era arrivato il proprietario: “Ma l’avevo lasciata solo per 5 minuti!” “
> Lei si è macchiato di un reato contro la comunità. La pena è la foiba!”
> Con una mossa rapidissima il vigile si chinò, aprì un tombino e spinse
> dentro il malcapitato automobilista. Poi lo richiuse.
> Pensieroso camminai ancora un po’. In Piazza Volontari Friulani un tipo
> strano mi si accostò: “Psss… Son mi, son Robi!”
> Rabbrividii: sapevo che Cosolini, nella sua perfida malvagità, si
> travestiva da uomo comune per mettere alla prova la fedeltà dei
> cittadini. Dissi: “Robi Cosolini?”
> “No, mona! Quel del oposizion!”
> “Antonione? Di Piazza? Menia?”
> “Poco importa. Savemo che te son contro sti comunisti de merda anche ti.
> Se sentiremo presto! Forza Unione!”
> “Forza Unione!” risposi.
> “No – fece Robi – Forza Unione xe la parola d’ordine. La controparola
> d’ordine xe ‘Bavisela e Sardon Day’ “
> “Allora ‘ Bavisela e Sardon Day’, camerata!”
> Si allontanò con circospezione. Guardai quell’eroe che mi aveva ridato
> la speranza e pensai che l’ora della riscossa si avvicinava.
TRST JE NAS!
SF - SN
I nordcoreani almeno erano puntuali. L’ultima volta con i cubani avevo
> dovuto attendere 2 ore. Solo perchè scendessero dalle loro stanze
> all’albergo Ljubljanska. Ma con i nordcoreani era diverso. Puntualissimi
> si presentarono nella hall completamente spoglia dove campeggiava la
> gigantografia del conducator. Sì, lui, la guida di tutti i triestini. Il
> compagno Cosolini.
> Per fortuna avevo trovato quel lavoro: da quando Cosolini aveva preso il
> potere tutto era cambiato. Avevo perso il mio posto nel consiglio di
> amministrazione delle Generali, statalizzate e divenute
> Generalsecuritate, l’apparato di sicurezza del regime.
> I nordcoreani si misero ordinatamente in fila ed iniziai il tour,
> sventolando la bandierina rossa con la falce e alabarda.
> Prima tappa: Piazza Doberdan. Mostrai loro con orgoglio fasullo il
> gigantesco murales che raffigurava Cosolini mentre stringeva la mano a
> Fidel, e che nascondeva ancora per poco – visto che se ne preparava la
> demolizione e la sostituzione con il palazzo dei soviet – il Museo del
> risorgimento. Mentre percorrevamo la strada i nordcoreani fotografavano
> stupiti e ammirati qua e là, non consci delle cose terribili che
> avvenivano in città da due anni. Ricordavo ancora quando Bandelli era
> stato costretto ad abiurare e a modificare il cognome in Bandelj. Ora
> quel venduto era soprintendente alle scuole slovene.
> Camminando ancora arrivammo ai portici, da dove iniziava la via
> intitolata a Cesare Battisti, non più patriota e martire, ma latitante
> in Brasile. Più avanti Piazza Goldoni, ormai divenuta “Piazza dell’amore
> libero”. Dagli altoparlanti inni rivoluzionari si intervallavano a
> canzoni popolari, ormai tutte con il testo modificato. In quel momento
> trasmettevano “Viva la Yu e po bon”… Che schifo. Procedemmo per il
> Corso: i nordcoreani si fermarono entusiasti e frementi davanti al
> maxiposter di Cosolini con Kim Jong Il, che copriva la facciata della
> Lega Nazionale. Poche Zastava percorrevano il Corso in entrambe le
> direzioni: da quando Omero era diventato assessore al traffico c’erano
> doppi sensi dappertutto.
> Arrivammo finalmente alla grande Piazza dell’Unità e del Delo. Enormi
> ritratti coprivano i suoi antichi palazzi: Cosolini, Marx, Engels, Tito,
> Basaglia. La piazza però era ormai spoglia: Solo alcuni granicari
> giravano un prasec sullo spiedo e armeggiavano con cipolla e ajvar.
> Alcuni musicisti ambulanti, sicuramente zingari, suonavano fisarmoniche
> e trombe, mentre tre o quattro drusi e drugarizze ballavano sconciamente
> un kolo… Per fortuna il giro volgeva al termine. Mostrai loro la
> corazzata Potemkin che il conducator Cosolini aveva acquistato da Putin
> e che insieme all’incrociatore Aurora erano ormeggiati a fianco della
> stazione marittima, trasformata in Museo della rivoluzione.
> Ultima tappa fu al ristorante “All’elefante rosso” dove lasciai la
> comitiva nordcoreana ad assaggiare tipici cibi triestini: jota,
> cevapcici, pleskavica, pasulj, palacinke, gibanica e per finire
> brinjevec e slivoviz. Pizza e pasta erano state messe al bando: ormai si
> trovavano solo di contrabbando e se si veniva beccati a mangiarne un po’
> si rischiavano anni di campo di rieducazione a Piscanci.
> Andandomene guardai con nostalgia Monte Grisa, fatta esplodere con la
> dinamite, al cui posto da due anni sorgeva ormai un’enorme stella rossa.
> Pensai di passare alla libreria Rosso su bianco di via Vittorio Vidali,
> per trascorrere la serata leggendo, ma poi lasciai perdere: al massimo
> potevo trovare il Capitale, il libretto rosso di Mao o qualche libro
> propagandistico dello storico di regime Purini.
> Risalii Viale Undici Settembre. Senegalesi, serbi, cinesi e arabi
> dovunque. Parlavano tutti in sloveno. Sui manifesti le poche cose che si
> potevano vedere: quei servi del Pupkin Kabarett al Politeama Rosso, la
> partita di Champions League dello Zarja contro il Liverpool (la
> Triestina era stata sciolta subito dopo le elezioni), Brecht, Kosovel,
> Pahor e Preseren al Teatro Zelen, una conferenza del filosofo
> collaborazionista Claudio Magris al Circolo Che Guevara.
> Il cinema Internazionale proiettava film di Pasolini ed Eizenstejn, di
> fronte c’era il ritrovo dell’ala dura del regime, il Nàima, dove si
> ritrovava il circolo dei polpotiani.
> Andai ancora avanti. Di fronte al Giardino Pubblico, l’unico luogo che
> avesse mantenuto il suo nome, assistetti ad una delle scene più
> frequenti in città da quando era arrivato Cosolini: un vigile vestito di
> rosso aveva appena dato la multa ad una macchina per divieto di sosta.
> Era arrivato il proprietario: “Ma l’avevo lasciata solo per 5 minuti!” “
> Lei si è macchiato di un reato contro la comunità. La pena è la foiba!”
> Con una mossa rapidissima il vigile si chinò, aprì un tombino e spinse
> dentro il malcapitato automobilista. Poi lo richiuse.
> Pensieroso camminai ancora un po’. In Piazza Volontari Friulani un tipo
> strano mi si accostò: “Psss… Son mi, son Robi!”
> Rabbrividii: sapevo che Cosolini, nella sua perfida malvagità, si
> travestiva da uomo comune per mettere alla prova la fedeltà dei
> cittadini. Dissi: “Robi Cosolini?”
> “No, mona! Quel del oposizion!”
> “Antonione? Di Piazza? Menia?”
> “Poco importa. Savemo che te son contro sti comunisti de merda anche ti.
> Se sentiremo presto! Forza Unione!”
> “Forza Unione!” risposi.
> “No – fece Robi – Forza Unione xe la parola d’ordine. La controparola
> d’ordine xe ‘Bavisela e Sardon Day’ “
> “Allora ‘ Bavisela e Sardon Day’, camerata!”
> Si allontanò con circospezione. Guardai quell’eroe che mi aveva ridato
> la speranza e pensai che l’ora della riscossa si avvicinava.
TRST JE NAS!
SF - SN