Ho letto con interesse l'intervista di Marchionne a Repubblica. Copio spudoratamente (in blu) parti dell'intervista, ma consiglio la lettura integrale. Ritengo l'intervista perfetta, chiara e (quasi) onesta.
La sua verità, allora?
"Semplice. La Fiat sta
accumulando perdite per 700 milioni in Europa, e sta reggendo a questa
perdita con i successi all'estero, Stati Uniti e Paesi emergenti. Queste
sono le uniche due cose che contano. Se vogliamo confrontarci dobbiamo
partire da qui: non si scappa".
La paura è che stia scappando lei, dottor Marchionne. Bassi
investimenti in Italia, zero prodotti nuovi. Non è così che muore
un'azienda che ha più di cent'anni di vita?
"Mi risponda
lei: se la sentirebbe di investire in un mercato tramortito dalla crisi,
se avesse la certezza non soltanto di non guadagnare un euro ma
addirittura - badi bene - di non recuperare i soldi investiti? Con
nuovi modelli lanciati oggi spareremmo nell'acqua: un bel risultato. E
questa sarebbe una strategia manageriale responsabile nei confronti
dell'azienda, dei lavoratori, degli azionisti e del Paese? Non
scherziamo".
Ma lei ha appena detto che Fabbrica Italia è superata. Questo
significa che l'impegno di investire in quel progetto 20 miliardi non
viene mantenuto. Non si sente in colpa?
"Quell'impegno era
basato su cento cose, e la metà non ci sono più, per effetto della
crisi. Lo capirebbe chiunque. Io allora puntavo su un mercato che
reggeva, ed è crollato, su una riforma del mercato del lavoro, e ho più
di 70 cause aperte dalla Fiom. Soprattutto, da allora ad oggi il mercato
europeo ha perso due milioni di macchine. C'erano e non ci sono più.
Tutto è cambiato, insomma. E io non sono capace di far finta di niente,
magari per un quieto vivere che non mi interessa. Anche perché puoi
nasconderli, ma i nodi prima o poi vengono al pettine. Ecco, siamo in
quel momento. Io indico i nodi: parliamone".
E come vede l'anno prossimo?
"Male, molto male.
D'altra parte la gente non ha più potere d'acquisto, magari ha perso il
lavoro, i risparmi se ne sono andati, non ha prospettive per il futuro.
Ci rendiamo conto? L'auto nuova è proprio l'ultima cosa, non ci pensano
nemmeno, si tengono la vecchia ben stretta. È un meccanismo che si può
capire ".
E l'Italia? Lei non può ignorarla.
"Ma lei non può
pensare alla Fiat come a un'azienda soltanto italiana. Sarebbe in
ritardo di dieci anni. La Fiat non è più un'azienda solo italiana, opera
nel mondo, con le regole del mondo. Per essere chiari: se io sviluppo
un'auto in America e poi la vendo in Europa guadagnandoci, per me è
uguale, e deve essere uguale".
Se non fosse per quel problema della responsabilità nazionale, nei confronti del Paese e di chi lavora, non crede?
"E
qui lei dovrebbe già aver capito la mia strategia. Gliela dico in una
formula: cerco di assecondare la ripresa del mercato Usa sfruttandola al
massimo per acquisire quella sicurezza finanziaria che mi consenta di
proteggere la presenza Fiat in Italia e in Europa in questo momento
drammatico. Fare diversamente, sarebbe una follia".
Come spiega agli americani il successo a Detroit e il disastro a Torino?
"Quando
spiego, loro fanno due conti e mi dicono cosa farebbero: chiusura di
due stabilimenti per togliere sovracapacità dal sistema europeo".
E lei?
"I conti li so fare anch'io. Se mi comporto diversamente, ci sarà una ragione".
Cosa vuol dire?
"Che
non parlo di eccedenze, non parlo di chiusure, dico solo che non c'è
mercato per fare attività commerciale garantendo continuità finanziaria
all'azienda".
E quando vede un cambio di mercato?
"Fino al 2014
non vedo niente. Per questo investire nel 2012 sarebbe micidiale. Salvo
che qualcuno mi dica che per noi le regole non valgono. Ma deve
mettermelo per scritto. Perché quando siamo entrati in Europa, non sono
solo saltate le frontiere, è saltata anche l'abitudine di fare un po' di
svalutazione nei momenti di crisi. Ora questo lusso non c'è più, e
finché Monti e Draghi hanno le mani sul timone, per fortuna dall'euro
non usciremo. E allora, dobbiamo rispettare le regole".
Lei dunque s'impegna?
"Mi impegno, ma non posso
farlo da solo. Ci vuole un impegno dell'Italia. Io la mia parte la
faccio, non sono parole. Quest'anno la Fiat guadagnerà più di 3 miliardi
e mezzo a livello operativo, tutti da fuori Italia, netti di quasi 700
milioni che perderà nel nostro Paese. È la prova di quel che le ho
detto".
Col sindacato sì, sembra aver dichiarato una guerra ideologica alla Fiom, da anni Sessanta.
"Storie.
Io voglio una riforma del lavoro, che ci porti al passo degli altri
Paesi. Se la Fiat vuole essere partner di Chrysler, deve essere
affidabile. Lo so che la Fiat di Valletta aveva asili e colonie, ma si
muoveva in un mondo protetto dalla competizione, dazi e confini, che
sono tutti saltati. Noi siamo in ballo, il gran ballo della
globalizzazione: non è detto che mi piaccia ma come dicono in America il
dentifricio è fuori, e rimetterlo nel tubetto non si può più".
Ma lei si rende conto che il lavoro oggi è il primo problema del-l'Italia?
"Sì,
da qui la mia responsabilità nei confronti del Paese, che va di pari
passo con quella nei confronti dei miei azionisti. Ma "repubblica
fondata sul lavoro" vuol dire anche essere competitivi, creare
occupazione attraverso sfide e competizioni. Questa cultura da noi
manca".
In sintesi cosa dice? "Guadagno in USA e mercati emergenti, l'Europa è un bagno di sangue, ma nonostante le perdite non chiudo (per ora) altri stabilimenti. Col cazzo che investo 20 miliardi in Italia come ho detto tempo fa (vedere sotto Phastidio). Il mercato del lavoro in Italia deve cambiare per essere almeno comparabile al resto del mondo o almeno all'Europa. Responsabilità verso il Paese? Col piffero, io rispondo agli azionisti. Se ascoltassi gli inviti ad investire in Italia e proporre nuovi modelli, FIAT fallisce o prima mi licenziano. Inculatevi"
L'ottimo Mario sotto nome di Phastidio recentemente ha commentato con la consueta lucidità sul progetto Fabbrica Italia - copio integralmente (in un bel rosso corsivo) il post così non dovete neanche cliccare sul link, pigroni:
Si, lo sappiamo, i piani industriali sono per definizione
caratterizzati da elevata incertezza di esecuzione, motivo per cui
analizzare oggi un piano industriale annunciato per la prima volta tre
anni fa ha poco senso, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti in
atto in Europa. Eppure.
Eppure, potremmo incasellare questo esito in una sequenza interpretativa ad alto tasso di verosimiglianza. Ad esempio:
- Sergio Marchionne
è consapevole da sempre, e mai ne ha fatto mistero, che in Europa
esiste una pesantissima sovracapacità produttiva nel settore auto e che
di conseguenza, a meno di un boom (assai poco probabile anche prima
dell’inizio della crisi), si sarebbe giunti al redde rationem;
- Consapevole di questa enorme Spada di Damocle ma essendo persona assai ambiziosa e “visionaria”, Marchionne si è inventato Fabbrica Italia
come espediente retorico-ideologico o, se volete, come strategia di
comunicazione politica, e non necessariamente industriale. Nel senso che
si annuncia l”‘evento epocale” ma non se ne comunicano i dettagli
operativi, neppure quelli di larga massima, per avere un enorme ballon d’essai col quale disarticolare il sistema della rappresentanza.
Non solo quella nei luoghi di lavoro, ma anche quella interna al sempre
più traballante e sclerotizzato sindacato degli imprenditori;
- Si
coagula attorno a questo progetto “ideologico” una parte di opinione
pubblica, quella più insofferente alla mitologia del pansindacalismo
(che non esiste più, ma spesso questo settore di opinione pubblica non
lo sa, avendo scarsa conoscenza effettiva dello stato delle relazioni
industriali) ed intimamente convinta che la modernizzazione produttiva
debba passare necessariamente per la sconfitta ideologica del “nemico”, e
nel frattempo si scuote dalle fondamenta Confindustria, spesso così
incendiaria nei convegni e così conservatrice negli accordi
contrattuali. Marchionne, in questo modo, cerca di passare alla storia
come una sorta di Thatcher italiano, l’uomo che ha cambiato il volto
delle relazioni industriali, ma in cuor suo sa perfettamente quale sarà
l’esito ultimo: il disimpegno dall’Italia;
- Nel frattempo, si utilizza al massimo grado il leverage
che deriva dall’aver acquisito il terzo marchio automobilistico
statunitense al punto di minimo (un default con ristrutturazione e ponti
d’oro da parte dell’Amministrazione di Washington e dal sindacato), per
puntare decisamente a crearsi una exit strategy da un paese morente;
- Al verificarsi del worst case scenario (crisi profonda di settore e avvio ineluttabile del processo di downsizing) si allargano le braccia e si dichiara che “Fabbrica Italia” è morta senza mai aver visto la luce.
Sia
chiaro: Fiat ha tutte le ragioni industriali per procedere ad un
ridimensionamento, ieri (Termini Imerese) come oggi e domani. Allo
stesso modo in cui è difficile non osservare che, Chrysler
a parte, la società non appare così strategicamente tonica come invece
viene presentata da una certa pubblicistica acritica, che ha scambiato
Marchionne per l’uomo che, pur costruendo auto, farà arrivare i treni in
orario. Alfa Romeo resta un’incompiuta, per la quale
(a intervalli regolari) si vaticinano epocali conquiste dei mercati di
oltreoceano e dell’Estremo Oriente; la penetrazione in Cina resta nulla, in Russia
la situazione appare molto simile e la quota di mercato europea è in
continuo ripiegamento nella perdurante assenza di nuovi modelli,
circostanza che differenzia senza se e senza ma il costruttore italiano
dai propri concorrenti. Difficile incolpare anche di questo le riottose
(o presunte tali) maestranze.
Che fare, quindi? Poco e nulla, al momento.
Sul più lungo periodo il governo e la politica potrebbero lavorare alla
creazione di condizioni favorevoli per consentire lo stabilimento in
Italia anche di altri costruttori ma sarà terribilmente difficile, visto
che l’habitat economico, legale ed istituzionale del paese paiono
ostili a simili insediamenti. A meno di attendere l’inevitabile
impoverimento del paese, che porterà con sé anche un aumento di
appetibilità all’insediamento industriale, causa fame (non necessariamente in senso metaforico). Ma solo se nel frattempo saremo riusciti a sfuggire al caos e ad una disperata anarchia.
Chiarissimo, no? E coerente con l'intervista (quasi) onesta di Marchionne.
Per aggiungere un po' di ulteriore colore copio il commento sul tema FIAT del terribile Paolo Ferrero che ha scritto questa allucinazione (in un bel colore marrone-merda):
FIAT - 30 ANNI FA ROMITI MI HA MESSO IN CIG MA ORA HA RAGIONE LUI. MARCHIONNE CHIUDE, OCCORRE NAZIONALIZZARE
Trenta anni fa ero un giovane operaio della Fiat e Cesare Romiti mi
buttò in Cassa integrazione a zero ore insieme a decine di migliaia di
altri operai. Oggi, a distanza di 30 anni, Romiti critica Marchionne per
il disimpegno Fiat in Italia. Condivido le parole di Romiti e - vista
la fonte – segnalano che il manager in
maglioncino si è spinto molto avanti nella distruzione della Fiat. Per
questo Rifondazione Comunista ritiene necessario l’intervento pubblico e
la nazionalizzazione nel caso in cui la Fiat dovesse arrivare alla
chiusura di un altro stabilimento. Non si può assistere alla distruzione
della Fiat pezzo dopo pezzo.
Ora, il comunismo è bello, il socialismo stupendo, ma caro Paolo, sei un po' fuori tempo e fuori luogo. Immaginiamo che Monti improvvisamente venga convinto da Bertinotti a nazionalizzare la FIAT. Il buon Monti a cui il famigerato mercato piace cosa farebbe? Beh, lancerebbe un'OPA sulla FIAT che capitalizza 6 miliardi di euro e qualche spicciolo. Di norma si offre un premio sul valore di mercato, mettiamo un equo 30% e siamo sui 8 miliardi. Mhhh. Bello. Dove trova i soldi? Beh, dato che sarebbe lo Stato a comprarla ha due possibilità: tasse o debito. Ottimo. Poi? Beh, si silura Marchionne che ha di fatto salvato la FIAT dopo una serie di CEO che si sono succeduti uno ogni anno - tipo i governi italiani fino agli anni 90 - e ha salvato la Chrysler che era fallita (seriamente, era in Chapter 11) e si nomina qualche bravo burocrate col compito ti mantenere posti di lavoro in Italia. Risultato? Immagino qualcosa come l'Alitalia prima di essere data in pasto agli "imprenditori corraggiosi" selezionati da Silvio trasferendo i debiti allo Stato.
Altra ipotesi è che semplicemente si nazionalizzi l'azienda. Si dice "è mia!". Bellissimo. Poi gli investimenti stranieri in quanti secondi escono dalle aziende e dai bond italiani? Qualche minuto?
Bravo Ferrero, mi fai sempre ridere. In realtà mi fa incazzare come un ape, perché invece di sparare cazzate irrealizzabili potrebbe dire qualcosa di intelligente, di sinistra, ma intelligente. Invece no, o per imbecillità o per malafede spara questi annunci per procurarsi un po' di "like" su Facebook.
Sto diventando sempre più anarcoindividualista della corrente Nutella.
PS: Phastidio ne ha parlato alla radio il 17 settembre. Ascoltatevelo che io non ho tempo.
PS_2: anche Travaglio ne scrisse oggi:
C’è un che di irresistibile nel dialogo (si fa per dire) a distanza fra il duro Sergio Marchionne
e gli omuncoli gelatinosi del governo, dei partiti e dei sindacati
moderati (Cisl e Uil). Lui, il duro che non deve chiedere mai perché
viene ubbidito prim’ancora che dia gli ordini, annuncia che dei 20
miliardi di investimenti promessi, col contorno di 1 milione e 400 mila
auto e altre supercazzole che potevano essere credute solo in Italia,
non se ne fa più nulla. Perché? Perché no. E gli impavidi ministri,
sindacalisti e politici che fanno? Gli chiedono di “chiarire”. I più
temerari aggiungono “subito”, ma sottovoce, vedimai che s’incazzi e li
prenda a sberle. Ora, tutto si può rimproverare a questo finanziere
scambiato per un genio dell’automobile, tranne la carenza di chiarezza: è
dal 2004 che dice ai quattro venti che dell’Italia non ne vuole sapere,
molto meglio i paesi dell’Est, dove la gente lavora per un tozzo di
pane e non chiede diritti sindacali perché non sa cosa siano, e gli Usa
dove Obama paga e Fiat-Chrysler incassa.
Ma
quelli niente, fingono di non capire, chiedono chiarimenti,
approfondimenti, spiegazioni, aprono tavoli, propongono patti, invocano
negoziati, lanciano penultimatum, attendono il messia dei “nuovi
modelli” naturalmente mai pervenuti. Ma in quale lingua glielo deve
spiegare, Marchionne, che dell’Italia e dell’auto con bandierina
tricolore non gliene frega niente? In sanscrito? Sentite Passera:
“Voglio capire meglio le implicazioni delle sue dichiarazioni”. Un
disegno di Altan potrebbe bastare. Sentite la Fornero,
quella col codice a barre in fronte: “Non ho il potere di convocare
l’amministratore delegato di una grande azienda” (solo quello di entrare
con la scorta armata ai gran premi di F1), però vorrebbe “approfondire
con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per
l’occupazione”. Ma benedetta donna: niente ha in mente, te l’ha già
detto in musica, che altro deve fare per cacciartelo in testa? Infilare
l’ombrello nel coso di Cipputi? Sentite Fassino: “L’ho sentito, mi ha dato rassicurazioni”. Ci parla lui. Sentite Bonanni,
quello con la faccia da Bonanni che firmò tremante gli accordi-capestro
a Pomigliano e Mirafiori: “Marchionne ci convochi subito e chiarisca se
il Piano Fabbrica Italia lo mantiene e lo utilizza quando riprende il
mercato o no”. Ma certo: i 20 miliardi li tiene lì sotto il materasso in
attesa che la gente si compri tre Cinquecento e quattro Duna a testa,
poi oplà, li sgancia sull’unghia per la bella faccia di Bonanni.
Ma che deve fare quel sant’uomo per far capire che i 20 miliardi non esistono e ha preso tutti per i fondelli?
Fargli una pernacchia sarebbe un’idea, ma poi quelli replicherebbero:
“Vorremmo capire meglio il significato profondo del gesto, Marchionne
apra al più presto un tavolo per fornirci le necessarie e ineludibili
delucidazioni atte a chiarire il senso recondito, anche tra le righe,
della pernacchia”. Se non ci fossero di mezzo decine di migliaia di
famiglie, ci sarebbe da scompisciarsi per queste scenette da commediola
anni 80, dove il marito trova la moglie a letto con un altro e la
interroga tutto compunto: “Cara, esigo un chiarimento sulla scena cui ho
testè assistito”. O da film di Fantozzi. La sua Bianchina, con a bordo
la signorina Silvani, viene affiancata dall’auto di tre energumeni che
afferrano un orecchio del ragioniere. La Silvani li insulta. Quelli
estraggono dall’auto Fantozzi a forza e lo massacrano di botte, mentre
lui li apostrofa con fierezza: “Badi come parla!”. Pugno in faccia.
“Vorrei un momento parlamentare con voi”. Setto nasale. “Lo ridichi, se
ha il coraggio”. Spiaccicato sul tettuccio. “Badi che se osa ancora
alzare la voce con me…”. Giacca squarciata. “Bene, mi sembra che abbiamo
chiarito tutto, allora io andrei…”. Lo finiscono a calci e lo lanciano
come ariete nel parabrezza. Ora Fantozzi fa il ministro tecnico e il sindacalista moderato. Tanto le botte le prendono i lavoratori.
Il Fatto Quotidiano, 19 settembre 2012